Turismo: se a 40 anni sei ancora giovane, il sistema è fallito.

Quando mi definiscono “giovane innovativo” a quarant’anni non mi sento riconosciuto: mi sento strumentalizzato.

 

È un’etichetta comoda, utile a raccontare un rinnovamento che in realtà non avviene; parla più, spesso senza rendersene conto, di chi la usa che di me.

Succede spesso: mi usano come prova che “stiamo aprendo ai giovani”, mentre i giovani veri restano fuori dai tavoli che contano. E così, visto che per loro sono giovane anch’io, finisco escluso insieme a loro.

 

Del resto, nella loro narrazione, sono un “giovane quarantenne”: uno con buone intuizioni, sì, ma mai ancora abbastanza.

E quando, raramente, hanno provato a coinvolgermi in qualche progetto, l’idea implicita era di sfruttarmi come braccio operativo della loro mente, come se il pensiero dovesse restare comunque nelle mani di chi c’era prima.

 

Spoiler: più che innovatori, persone permalose con idee ferme agli anni ’90. A volte ’80.

 

Peccato che tali fenomeni ignorino un dettaglio essenziale: ciò che ho costruito — spesso più di quanto abbiano costruito molti di quelli che oggi mi definiscono “giovane al punto giusto” — l’ho messo in piedi più di un decennio fa, quando giovane lo ero davvero, non per concessione di qualcuno, ma per forza mia.

 

E così, dietro il complimento del “giovane in gamba”, finisco per diventare l’alibi perfetto di un sistema che non sa cedere il passo: un sistema in cui l’egocentrismo e la paura di vedere le proprie rughe allo specchio contano più del passaggio di testimone.

 


Le definizioni internazionali sono chiare

 

E allora, dato che a quanto pare un quarantenne è ancora “un giovane”, ripartiamo dai fatti, quelli veri però.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce "giovani" la fascia 15-24 anni, le Nazioni Unite usano la stessa definizione dal 1981.

L'Unione Europea è più generosa: la Strategia per la Gioventù copre i 13-30 anni, Erasmus+ e Youth Guarantee gli under 30.

Il limite massimo assoluto è il Corpo Europeo di Solidarietà: 35 anni.

Nessuna istituzione internazionale autorevole definisce "giovane" una persona di 40 anni.

 


I numeri del settore turistico italiano

 

Chiunque bazzichi talk, convegni o fiere sul turismo — soprattutto quando la parola d’ordine è “innovazione” — sente ripetersi lo stesso ritornello: “mancano i giovani”, “servono i giovani”, “il futuro è nelle mani dei giovani”.

 

È diventata quasi una frase obbligatoria del copione. Sbaglio?

 

Solo che poi, appena si scende dal palco alla pratica, succede l’opposto: i fatti ribaltano la retorica. Perciò, una volta chiarito il primo nodo — chi possiamo davvero chiamare “giovane” e chi no — resta da mettere a fuoco un secondo dato, ancora più decisivo:

 

L'età media dei manager nel turismo italiano è di 50,2 anni contro una media europea di 45,2 anni. Quel gap di 5 anni rappresenta l'intera finestra in cui i trentenni dovrebbero accedere alle responsabilità.

 

Solo il 14% dei dirigenti italiani ha meno di 40 anni, contro il 33% europeo: meno della metà.

Negli anni 2000 diventare dirigente a 36-38 anni era normale; oggi quel traguardo si è spostato oltre i 40.

 

Ma il dato più rivelatore riguarda l'imprenditoria.

 

L'età media dei titolari di imprese turistiche è 52,1 anni. Solo il 5,5% ha tra 18 e 29 anni, mentre il 49,2% ha tra 50 e 69 anni.

E la tendenza peggiora: negli ultimi cinque anni sono scomparse 35.000 imprese gestite da under 35, con la percentuale di giovani imprenditori crollata dal 12,1% al 8,5%, mentre l'età media è salita da 50 a 51,3 anni.

 

Non è demografia, è esclusione sistematica.

 


Un sistema gerontocratico documentato

 

Sia chiaro: questo non è un fenomeno che riguarda solo il turismo. Anzi.

L'Italia ha i CEO più vecchi d'Europa: età media 60,9 anni, nominati in media a 54,5 anni contro i 48-50 della media europea.

In Norvegia il 64% dei CEO viene nominato prima dei 50 anni, in Italia solo il 13% prima dei 45.

Quei cinque-sei anni di differenza sono gli anni cruciali sottratti alla generazione successiva.

Il problema non è l'età in sé - a 60 anni si può essere brillanti e strategici.

Il problema è l’ipocrisia: si invoca “innovazione” e si celebra la parola “giovani”, ma solo per mantenere il controllo nelle stesse mani.

I giovani vengono cercati come subordinati — intraprendenti quel tanto che basta per eseguire, ma non abbastanza da poter contraddire.

Devono essere autonomi quando serve… ma non troppo: non sia mai che arrivino a dire loro come andrebbe fatto un lavoro fatto bene e realmente innovativo.

 


Terra di mezzo

 

È ridicolo ritrovarsi in una terra di nessuno generazionale: non sono più giovane davvero, ma non faccio nemmeno parte di quel blocco che trattiene il potere da trent’anni.

E, per inciso, non ho alcun desiderio di farne parte.

In questo spazio sospeso, l’etichetta di “giovane in gamba” diventa il modo ideale per rimandare ancora una volta il turno di chi realmente è giovane ( 25 o 30enni. )

Sembra un riconoscimento, ma in realtà sposta in avanti il confine della gioventù per fingere che il ricambio sia già iniziato.

 

Poi, se guardo al mio percorso — e a quello di pochi altri — lo spazio ce lo siamo costruito da soli, spesso rivolgendoci altrove, anche oltre i confini dell’Italia. Ma non è questo il punto.

Il punto è che molti altri, pur avendo competenze e idee concrete, sono rimasti indietro.

Non perché incapaci — ma perché non è mai stata offerta loro ( in Italia ) l’opportunità di dimostrarlo.

E quando nessuno ti affida una responsabilità vera, rischi di restare per sempre in una terra di mezzo: troppo grande per essere chiamato giovane, ma troppo “inesperto” per meritarti fiducia.

 


Le conseguenze sono drammatiche

La mia non vuole essere una crociata contro chi giovane non lo è più da almeno trent’anni — se non quaranta — ma continua a sentirsi tale dentro, dimenticando chi giovane lo è davvero: dentro e fuori, e non dovrebbe restare l’ultimo ad essere considerato.

 

Ma le conseguenze di questo retaggio culturale sono concrete e, in molti casi, drammatiche: nel 2024 hanno lasciato l’Italia 156.000 cittadini giovani— un aumento del 36,5% rispetto all’anno precedente, e la cifra più alta registrata negli ultimi venticinque anni.

 

Nell'ultimo decennio oltre un milione di persone ha lasciato l'Italia, un terzo nella fascia 25-34 anni. Non persone qualunque: laureati, ricercatori, professionisti specializzati.

 


 

La prova che il problema "non sono i giovani" viene proprio da qui

Quando vanno all'estero trovano rapidamente impiego, avanzano per merito, ottengono responsabilità.

Dunque, se davvero chi ha 50, 60 o 70 anni fosse la guida migliore per gli under 40, allora una generazione intera non dovrebbe trovare all’estero le opportunità che in Italia non riesce a ottenere. E invece è esattamente ciò che sta accadendo.

 


E allora ... Riassumendo!

 

A 40 anni non si è giovani da almeno 10 anni.

E se i CEO vengono nominati a 54, non si chiama esperienza: si chiama gerontocrazia.

I giovani veri — quelli tra i 25 e i 30 anni — devono smettere di fare da scenografia ai convegni e sedere davvero ai tavoli decisionali. Perché un sistema che chiama “giovane” un quarantenne non sta aprendo ai giovani: sta solo bloccando il passaggio di testimone.

“Giovane” non è un complimento per un professionista quarantenne: è una categoria precisa — e in Italia viene usata per nascondere il fatto che lo spazio ai giovani non lo si dà davvero.

Se continuiamo così, tra dieci anni ci chiameranno ancora “giovani”. Anche se saremo cinquantenni.

A proposito: la mia prima busta paga l’ho firmata nel 2001. Non in euro. In lire.

Nel 2006 avevo vent’anni quando abbiamo vinto l’ultimo Mondiale. Quelli che oggi vengono confusi con me come “giovani”… in quel momento stavano nascendo.

 


 

[Nota sui dati]

I numeri citati provengono da fonti ufficiali e pubbliche — istituzioni internazionali, enti statistici e osservatori economici nazionali. Possono variare leggermente a seconda dell’anno o della fonte, ma sono facilmente verificabili con una semplice ricerca in rete: ciò che conta non è il singolo decimale, bensì la tendenza generale, che risulta coerente in tutte le rilevazioni.


@Articolo di Valentino Cocco


Aggiungi commento

Commenti

Non ci sono ancora commenti.